Un dramma che illustra la polarità di due idee, la materialità e la spiritualità del sentimento, entrambe incomplete se non sono integrate in una giusta e moderata mescolanza. Il confronto con l’inevitabile amore colpevole di Fedra, moglie del re Teseo e dunque matrigna dell’eroe, e l’ostentata castità di Ippolito, divenuto inconsapevolmente oggetto d’amore ma coscientemente giudice irremovibile contro la materialità laida del sentimento, riflette la concezione misogina del tragediografo attratto dal cuneo d’ombra che la femminilità contiene in sé e che la polis espelle per la loro distruttiva carica eversiva e l’immagine della donna come depositaria di irrazionali pulsioni ostili al cosmo, all’ordine del mondo. L’amore diventa un nosos, un morbo da evitare sebbene sia volontà del dio per un disegno ben stabilito. Una catena di imprevisti e di segreti logorerà l’eroe di questa tragedia, Ippolito, costretto a piegarsi a Afrodite fino alla totale disfatta.